lunedì 17 dicembre 2012

L'intruso

Quando una squadra forte gioca contro una squadra debole, non ho esitazioni: tifo sempre per quella debole. Sarà che sono cresciuto tifando per il Vicenza attraverso decenni di magra, che raramente hanno visto la mia squadra annoverata tra "i forti", a prescindere dalla categoria - giusto un manciata di stagioni tra serie C e serie B iniziate da favoriti della vigilia, tra l'altro per campionati quasi sempre poi fallimentari.
Sarà che tra Davide e Golia ci hanno sempre insegnato a parteggiare per il nanetto a discapito del gigante. Mah.
Fatto sta che quando esce un risultato a sorpresa - ma veramente a sorpresa - godo assai. A maggior ragione se il colpaccio riesce in trasferta, su uno di quei campi dove anche l'apporto del pubblico rende quasi impossibile ribaltare un risultato già scritto, almeno sulla carta.
Così ieri sera, domenica 16 dicembre 2012, quando il Napoli si è portato in vantaggio per 2-1 sul Bologna a meno di venti minuti dalla fine, nessuno o quasi avrebbe scommesso un euro su un nuovo sorpasso dei felsinei. E invece a quattro minuti dalla fine Kone si è arrampicato a un metro da terra per esibirsi in questa sforbiciata da campionissimo: il gol del pareggio, spettacolare preludio all'inatteso gol di Portanova per il 2-3 finale.
Ti saresti aspettato il colpo di Cavani, di Hamsik o di Pandev a chiudere la partita per il tripudio degli azzurri davanti al loro pubblico. Macché.
Eccolo lì, un onesto centrocampista greco che si è da poco alzato dalla panchina, estrarre dal cilindro un coniglio a sorpresa che fa chiudere la bocca e strabuzzare gli occhi a tutto lo stadio San Paolo.
Evviva l'intruso!

domenica 25 novembre 2012

I buoni maestri

La televisione nel suo complesso ha fatto più male che bene al mondo del calcio, su questo non ho dubbi.
Ci sono però anche alcuni "effetti collaterali" positivi. Il calcio in televisione, infatti, ha reso possibile a tutti vedere le prodezze dei più grandi campioni e provare ad imitarle.
Come ho già scritto, tutti noi che nel 1988 eravamo piccoli calciatori, dopo la semifinale degli Europei in Germania abbiamo provato almeno una volta un tiro al volo "alla Van Basten".
Tutti abbiamo tentato di segnare dando al pallone il giro a rientrare "alla Del Piero".
Tutti abbiamo calciato una punizione con tre dita "alla Roberto Carlos".
E tutto questo grazie alla tv, che ci ha fatto vedere e rivedere questi colpi di genio.
E' un fenomeno che non riguarda solo i calciatori in erba, amatoriali o improvvisati: sono fermamente convinto, infatti, che anche i giocatori professionisti siano ispirati dalle prodezze che hanno ammirato recentemente, dalle migliori invenzioni dei loro colleghi di maggior talento.
"Se l'ha fatto lui, magari posso provarci anch'io... perché no?".
A volte il risultato è deprimente. Si pensi ai vari rigori "a cucchiaio" finiti mollemente tra le braccia dei portieri in questi ultimi anni, quando molti - troppi - si sono improvvisati Totti o Pirlo: per tutti, prendo come capro espiatorio lo sciagurato Maicosuel, che ha negato all'Udinese l'approdo in Champions League.
Eppure ogni tanto va a finire che l'allievo riesce ad eguagliare il maestro, per il piacere di tutti noi appassionati. Nessuno mi toglierà dalla testa che se Mexes in Champions League il 21 novembre 2012 contro l'Anderlecht ha avuto il coraggio di provare quella straordinaria, assurda rovesciata di prima intenzione da fuori area, è stato perché pochi giorni prima Ibra ci aveva regalato quella meravigliosa follia contro l'Inghilterra.
Sono certo che altri ci proveranno, nelle prossime settimane. Molti ci faranno una pessima figura. Ma per chi riuscirà, saranno gloria e applausi imperituri. Avanti il prossimo!

giovedì 15 novembre 2012

Ibracadabra

Ci sono volte in cui qualunque commento è superfluo.
Chissenefrega se Ibrahimovic è uno dei giocatori più antipatici della storia del calcio. Chissenefrega se spesso gioca da solo e nonostante questo s'incazza con i compagni al primo passaggio sbagliato. Chissenefrega se quando corricchia svogliato in mezzo al campo vorresti andare personalmente a dargli un sonoro calcio in culo.
Questo qui è uno che, quando gli gira, fa cose così.
In allenamento, oppure in uno Svezia-Inghilterra qualsiasi (14 novembre 2012). Hai l'impressione che per lui non faccia differenza.
E' che quando gli viene, gli viene.
Ibracadabra.
E tutti zitti, in piedi ad applaudire.


domenica 21 ottobre 2012

Saponarinho

Un gran bel gol è un gran bel gol. Non importa se l'abbia segnato Messi in una finale di Champions League o un volenteroso operaio che la domenica suda e si diverte su un campo di Terza Categoria.
Per me, l'emozione è sempre la stessa: esclamazione di stupore (in genere Puttana Eva! - e chiedo scusa con l'occasione a tutte le Eva per la mia cattiva abitudine), risata compiaciuta e incredula, e standing ovation (perlomeno interiore, a volte con applauso fisico reale, anche se sono davanti al televisore).
Ovvio, se segna il Vicenza invece si passa alla goduria orgasmica, ma questa è un'altra storia.
Ieri sera, 20 ottobre 2012, me ne stavo lì a guardare Novantesimo Minuto di Serie B, sapendo di non avere alcuna particolare attesa emotiva, dato che il Vicenza aveva pareggiato per 0-0 a Terni.
E invece, a un certo punto, passano il servizio di Virtus Lanciano - Empoli (0-3, prima vittoria stagionale per i toscani). E la mia scialba indifferenza viene scossa all'improvviso dallo spettacolare tiro al volo di Saponara, che firma così il gol del raddoppio per la sua squadra (si veda il minuto 2:38 del filmato).
Puttana Eva!, esclamo a voce alta, solo davanti al televisore; poi ridacchio compiaciuto e incredulo, e mi alzo dal divano per applaudire. Grazie Saponara: mi hai regalato un'intensa emozione calcistica.
Qualche ora più tardi, un gol per certi versi simile - ma meno bello - lo ha segnato Pogba in Juve-Napoli. E ovviamente lo abbiamo già visto e rivisto mille volte, e i complimenti e i paragoni illustri si sprecano. Di Saponara, invece, non ha più parlato nessuno. Così va il calcio, inutile arrabbiarsi.
Nel mio piccolissimo, però, con questo post voglio rendere merito ad una prodezza che, se fosse stata realizzata da un brasiliano di nome Saponarinho con la maglia della Juve, avrebbe monopolizzato i programmi televisivi per una settimana.
Dedicato a tutti gli sconosciuti che ieri, correndo e sudando su un campo dilettantistico, hanno segnato il gol più bello della loro carriera, anche se nessun filmato renderà mai loro il giusto merito.
Siete grandi, ragazzi!

martedì 11 settembre 2012

Benvenuto, Mimmo!

Una rondine non fa primavera. Il buongiorno non si vede dal mattino. Chi ben comincia non è a metà dell'opera: ha solo cominciato.
D'accordo.
Però, ragazzi, questo Dominique Malonga che arriva a Vicenza acquistato dal Cesena il giovedì, mollato dalla sua ex squadra come l'ultimo degli scarti, e al sabato proprio contro il Cesena ti sfoggia una prestazione e una girata al volo così (si vada al minuto 1.03 del filmato), è davvero un bel vedere.
Aggiungiamoci che gli amici italiani, Dominique, lo chiamano Mimmo. Già, proprio come il "nostro" Di Carlo, l'eroe di tante gloriose battaglie.
Come può non suscitare subito simpatia al popolo biancorosso?
E allora benvenuto a Vicenza, Mimmo! Ci regalassi la metà delle gioie che ci ha regalato il tuo omonimo, sarebbe già tanta, tantissima roba...


martedì 28 agosto 2012

Ricominciamo!

Lo so: tempo un mese, e non se ne potrà già più.
Tra moviole e contromoviole, polemiche arbitrali, commenti improbabili di commentatori ancora più improbabili - vogliamo parlare dell'ennesima stagione con Paola Tutankamon Ferrari alla Domenica Sportiva?!? No, meglio non parlarne... - sterili elucubrazioni sulla differenza tra  3-5-2 e 5-3-2, processi agli allenatori inadeguati e ai calciatori strapagati, verrà spontaneo un rigurgito nauseabondo.
Ma tutto questo, verrà solo tra un po'.
Per adesso, lasciatemi godere il friccicore intatto e ingenuo del primo giorno di scuola. La voglia di rivedermi tutti i gol di questa giornata, almeno il 26 agosto. Il gusto di immaginare per quale attaccante buttare via una vagonata di crediti alla prossima asta del Fantacalcio, salvo poi ritrovarmi come sempre con un bidone costosissimo e inutile in rosa.
Lasciatemi godere Osvaldo e la sua spettacolare girata al volo contro il Catania.
Lasciatemi cantare, con l'entusiasmo beluino di Adriano Pappalardo, Ricominciamo!
Bentornato, campionato.
Quanto mi sei mancato...


giovedì 12 luglio 2012

Le minestre in Nazionale

I cuochi al seguito della nostra Nazionale devono sapere preparare delle minestre davvero prelibate.
Non si spiega altrimenti la predilezione dimostrata dai nostri giocatori più rappresentativi per il cucchiaio, che sanno utilizzare con tecnica sopraffina non solo a tavola, ma anche quando devono calciare un rigore decisivo.
Chiunque, in un momento così delicato, si affida alle certezze: una pigna devastante per buttare dentro palla e portiere insieme, o in alternativa un bel piattone all'angolino basso come ti insegnano fin dai Pulcini.
Chiunque, a parte i campioni dotati di genio assoluto e totale mancanza di comune buon senso.
In maglia azzurra, in anni recenti, ce ne sono stati due che in questo modo hanno preso per il culo i portieri avversari e al tempo stesso tutti noi tifosi italiani, incollati allo schermo con il rischio d'infarto a seguire per interminabili fotogrammi quel pallone che si avvia lentissimo, sghembo e floscio verso la rete, e sembra non voglia entrare mai.
Il primo è stato Totti, contro l'Olanda, nella semifinale gli Europei del 2000.
Il secondo Pirlo, con l'Inghilterra, ai quarti degli Europei del 2012.
Due rigori assurdamente indimenticabili, che ci hanno portato a due grandi vittorie.
E chissenefrega se qualche giorno dopo, in entrambi gli Europei, abbiamo perso la finale.
Ripensando a questi due campionati, noi italiani dimenticheremo in fretta il dessert indigesto che ci è rimasto sullo stomaco. Ci resterà invece per sempre impresso nel palato quel delizioso e inatteso sapore di minestra, che ci è stata servito su rigore con un cucchiaio raffinatissimo, degno delle tavole dei re.






sabato 2 giugno 2012

Non è tempo per gli esteti

Ci sono occasioni in cui un gol è meraviglioso in sé, solo perché la palla rotola in fondo al sacco.
Non importa come. Non importa chi sia stato. Basta che sia gol.
Era esattamente così per noi tifosi vicentini, in quel trepidante spareggio di Ferrara del 1990 che ci vedeva opposti al Prato per scongiurare l'ignominia della C2. Una squadra toscana e biancoazzurra.
Sarà di nuovo così, domani, per rimanere aggrappati alla B sfidando l'Empoli. Una squadra toscana e biancoazzurra. Nel dubbio, mi sembra opportuno rimarcare la coincidenza.
Allora furono il bolide di Zamuner e la freddezza di Tacchi a salvarci il culo (per qualche motivo a me ignoto, non riesco a incorporare questo filmato da Youtube... il link per vederlo è questo).
Stavolta non so proprio chi potrà essere, e francamente non m'interessa minimamente.
Basta che ce lo salvi.
Allora sarà comunque un gol meraviglioso, destinato a rimanere tale per sempre, e io vorrò per sempre bene a quel giocatore.

mercoledì 16 maggio 2012

Grandi sofferenze per grandi gioie

Ci risiamo. Ancora una volta il Vicenza è in affanno, annaspa con l'acqua alla gola nel finale di una stagione tanto, troppo tribolata, che da gennaio in poi ci ha fatti precipitare verso il baratro della retrocessione.
Che sofferenza, ragazzi...
Uno non può neanche godersi il giorno del proprio matrimonio - e dico del proprio matrimonio - che nel frattempo gli amici ti avvisano via sms per raccontarti di un Vicenza che perde al Menti con la Nocerina. E dico al Menti. E dico con la Nocerina.
Più in basso di così, non si poteva andare, verrebbe da dire.
E invece più in basso si è andati, eccome. E io sono abbastanza cresciuto da poterlo ricordare.
Le ultime domeniche della primavera 1990 furono domeniche di passione e sofferenza come non mai, per il mio cuore di giovanissimo tifoso biancorosso.
Io, che a stento potevo ricordare un Vicenza in serie B, cresciuto in un Menti dove si ritrovavano a giocare squadre palesemente fuori luogo come Derthona, Baracca Lugo, Centese, Montevarchi, vedevo avvicinarsi addirittura il fantasma della serie C2. Ci ritrovavamo a inseguire una salvezza che sembrava ormai quasi impossibile, aggrappati all'ultima flebile speranza: acciuffare il Prato - e dico il Prato - battendolo in casa all'ultima di campionato, per poi giocarci tutto in un eventuale spareggio.
Ricordo poco o niente di quella partita. Solo una paura troia ogni volta che la palla superava la nostra metà campo. E il cuore in gola quando i nostri attaccanti si avvicinavano alla porta avversaria.
Tanti tifosi italiani, pochi mesi dopo, avrebbero rischiato l'infarto per i calci di rigore nella semifinale - malamente persa - con l'Argentina dopo le Notti Magiche di Italia '90. Non io, piccolo biancorosso: avevo già dato abbastanza quando, per due volte in quella partita, si era presentato sul dischetto il nostro libero, Luca Chiappino - e dico Chiappino. Per me, il più forte rigorista di tutti i tempi, senza dubbio. In mezzo, un colpo di testa in apnea di Giuseppe Maria Butti, che una volta tanto la buttò dentro, tenendo fede al suo cognome (per la cronaca, appena 3 gol in tutto nelle sue 28 presenze in biancorosso, ma questo vale almeno come 30).
Quanta sofferenza, quell'anno... Ma quanta gioia, quella domenica, e nel seguente spareggio di Ferrara...- di cui magari racconterò una delle prossime volte.
A chi sta soffrendo come me, oggi come allora, dedico questo filmato. Nella speranza che la storia e le emozioni possano ripetersi.

martedì 10 aprile 2012

Mauri come Parola

Non c'è più il calcio di una volta. La gente non va più allo stadio. I giocatori si vendono le partite. I piedi buoni hanno lasciato il posto a muscoli, tattica e polmoni. Giocano a tutti i giorni e a tutte le ore, e il brivido dell'interruzione nella diretta radio di Tutto il Calcio Minuto per Minuto, quando ogni secondo della domenica dalle 15 alle 17 poteva stravolgere il destino del campionato, si svilisce in un brodino di tre giorni di sintesi televisive a giochi già fatti, tra insulsi anticipi e posticipi.
Tutto tristemente vero.
Poi però, proprio in uno di questi insulsi posticipi,  proprio un giocatore lambito dalle inchieste sul calcio-scommesse ti fa saltare sulla poltrona segnando un gol così (Stefano Mauri, Lazio-Napoli del 6 aprile 2012).
E allora ti viene in mente la rovesciata di Parola delle figurine Panini, e per un attimo ritorni bambino, e tutto ritorna bellissimo.
Basterebbe così poco, a noi tifosi innamorati del pallone...

mercoledì 28 marzo 2012

L'uomo nero

Ci sono diversi buoni motivi per odiare l'Hellas Verona.
Il primo, e più forte, come ho già avuto modo di spiegare, è l'essere nato vicentino e biancorosso.
Negli ultimi anni, purtroppo, se n'è aggiunto un altro: la stupidità di una frangia della tifoseria gialloblu, ormai famigerata in tutta Italia per il suo becero, ignorante e incorreggibile razzismo.
Ecco, allora, che l'8 settembre 1996, guardando Novantesimo Minuto, ho avuto tante valide ragioni per godere.
Per prima cosa, il Verona aveva brillantemente esordito in quel campionato di serie A andando a perdere 4-1 a San Siro contro il Milan, oltretutto subendo due reti negli ultimi minuti dopo avere a lungo sperato di acciuffare un clamoroso pareggio - così, c'era ancora più gusto ad immaginare la delusione dei tifosi scaligeri sul treno del ritorno...
In secondo luogo, il gol del 3-1, che potete ammirare nel filmato qui sotto, è stato leggendario: un coast to coast entusiasmante di George Weah, partito dalla sua area con la palla al piede, più inarrestabile di un caterpillar. Credo che i difensori del Verona abbiano avuto gli incubi per qualche mese.
Per terza cosa - la ciliegina sulla torta - a compiere questa prodezza è stato proprio un uomo nero, alla faccia pallida e idiota di quei quattro sfigati con i drappi gialloblu che gli avevano ululato contro per tutta la partita.
Già, come i bambini: "Avete paura dell'uomo nero? Lo volete?".
Eccovi accontentati, coglioni!

giovedì 22 marzo 2012

Fantabaggio

Se non si fosse già capito, lo dichiaro pubblicamente: io amo Roberto Baggio. Ho iniziato ad amarlo per ispirazione paterna e "zierna", nel senso che mio papà e mio zio, che l'avevano visto giocare giovanissimo con il Lanerossi Vicenza, appena ho avuto la capacità di intendere e di volere mi hanno spiegato che lui era un vero fuoriclasse, il calciatore vicentino di nascita più talentuoso che si fosse mai visto sul prato del Menti.
Ho continuato ad amarlo perché ho avuto l'enorme fortuna di essere ragazzino negli anni in cui lui ha scritto meravigliose pagine di poesia calcistica.
E l'ho amato incondizionatamente fino ai suoi ultimi anni di carriera, al punto tale da svenarmi pur di acquistarlo al Fantacalcio, anche quando ormai era un po' acciaccato.
I miei avversari, durante quell'asta, mi hanno deriso con la superiorità di chi la sa lunga: "Tutti quei fantamiliardi buttati via per un vecchio? Bravo, per carità, ma giocherà sì e no dieci partite...E poi lo paghi come attaccante, ma segna come un centrocampista. Non ne vale la pena".
I tabellini dicono che negli ultimi quattro anni di carriera (dal 2000 al 2004), Baggio con la maglia del Brescia ha messo insieme 95 presenze e segnato 45 gol, mantenendo sempre la squadra lombarda in serie A e facendomi vincere il mio unico scudetto a Fantacalcio (2002/2003).
La cosa straordinaria era che, ogni domenica, avevo due ottimi motivi per esultare ad un gol del mio campione preferito: un'altra emozione da tifoso, e altri tre punti incamerati a Fantacalcio. Come quel primo aprile 2001, quando questo imprevedibile prestigiatore del pallone tirò fuori dal cilindro - al posto del solito coniglio - un pesce d'aprile guizzante e imprendibile per il malcapitato Van Der Saar. Uno dei suoi gol che mi hanno fatto godere - e fantagodere - di più.


domenica 11 marzo 2012

Antiverona

Ci sono annate in cui tutto va male. Ultimamente, a chi come me tifa Lanerossi, capita tristemente troppo spesso.
Eppure, anche nella stagione più buia e tribolata, anche quando andare al Menti diventa un supplizio come in questi tempi di vacche magre - anzi magrissime -, ci può essere un momento di puro godimento che vale quanto una vittoria: una sconfitta memorabile dell'Hellas Verona.
Inutile negarlo, De Coubertain se ne faccia una ragione: lo "spirito olimpico", "l'importante è partecipare", "vinca il migliore", rappresentano un'enorme montagna di cazzate se applicati alla fede calcistica.
I moralismi di facciata, la sportività pura e disinteressata, non hanno nulla a che fare con il tifo autentico e sanguigno di chi nasce con dei colori tatuati in fondo al cuore. Chi è biancorosso gode infinitamente per le disgrazie sportive di chi è gialloblu. Questa è la pura e semplice verità.
Non è un accontentarsi, una gioia in tono minore. E' proprio un'enorme soddisfazione, che alla fine dell'ennesimo campionato da dimenticare ti regala un momento fantastico e indimenticabile, rendendo più dolce ogni sofferenza appena vissuta.
Forse solo chi è senese e vede la contrada rivale superata ad un metro dal successo nel Palio può capire cosa intendo dire. Il tuo cavallo può anche essere arrivato ultimo, ma se quello dei "nemici" perde in maniera incredibile all'ultima curva, allora ne è valsa la pena.
Negli ultimi anni, fortunatamente, l'Hellas Verona mi ha regalato almeno due gioie immense.
La prima nel maggio 2007 quando i cugini gialloblu, per la prima volta dopo oltre sessant'anni, sono sprofondati in serie C. Avrò modo di celebrare quello splendido momento in uno dei prossimi post.
Ma visto che sabato prossimo si gioca il derby al Bentegodi, contro un Verona lanciatissimo verso la serie A che non vede l'ora di asfaltarci per cacciarci verso la Lega Pro, e tutti i segni del destino calcistico sembrano orientati verso questo esito nefasto, allora voglio ricordare il 9 maggio 2010.
Quel pomeriggio, oltre 25 mila tifosi veronesi accorsero al Bentegodi per dare l'ultima spinta ai gialloblu, che dopo un intero campionato di Lega Pro dominato in lungo e in largo, venivano da un finale un po' in calo che aveva clamorosamente messo a rischio la promozione in serie B: nell'ultima partita di campionato, il Verona doveva assolutamente vincere in casa il derby con il Portogruaro per non essere superato sul filo di lana dal Pescara, o dal Portogruaro stesso, e compromettere tutta la stagione.
L'esito pareva comunque scontato. Una squadra di blasone, una città e una provincia intera, uno stadio ribollente, tutti compatti contro una minuscola realtà di provincia spuntata dal nulla: Golia contro Davide.
Ancora una volta, però, l'ha spuntata Davide, che per l'occasione ha preso il nome di Riccardo: Riccardo Bocalon, ragazzino veneziano classe 1989, che al 43' del secondo tempo ha ammutolito e condannato allo sconforto i 25 mila del Bentegodi, regalando al Portogruaro la sua prima storica promozione in serie B.
I gialloblu finivano ai playoff, ma il destino del calcio aveva ormai già espresso il suo verdetto inappellabile, era chiaro a tutti: un campionato già vinto incredibilmente buttato nel cesso, un altro anno di purgatorio in Lega Pro.
Quella sera, mi sono guardato e riguardato tutti i telegiornali locali fregandomi le mani, gustandomi ogni secondo dei commenti sconfortati, increduli e sgomenti dei giornalisti e dei tifosi veronesi.
E allora, prima del derby di sabato prossimo dall'esito apparentemente scontato, proprio adesso che tutto in casa gialloblu sembra andare a gonfie vele, mentre monta l'attesa per celebrare il ritorno in pompa magna degli scaligeri in serie A e la nostra contemporanea retrocessione in Lega Pro, sono qui che aspetto di vedere come andrà a finire.
Perché non succede, ma se succede...
Grazie di esistere, Hellas Verona!

mercoledì 29 febbraio 2012

Come loro nessuno mai

Nascere tifoso di una cosiddetta "grande squadra", come Juve, Milan, Inter o Roma, è senz'altro un'enorme sfortuna. Ne sono profondamente convinto. L'assuefazione alla vittoria, alla competizione ad alto livello, ti nega la gioia incontenibile del successo totalmente inatteso, impronosticabile, probabilmente irripetibile.
Una "grande squadra" ha vinto, vince e vincerà sempre qualcosa. Magari con qualche anno di buco nero tra uno scudetto e una coppa, che talvolta può assumere dimensioni considerevoli (vedi gli anni Novanta e Duemila da barzelletta dell'Inter); prima o poi, però, è certo che la ruota girerà, e arriverà un Mourinho qualunque a risarcirti di tutto con un "triplete".
Quando invece nella Storia del calcio accade qualcosa di completamente assurdo e illogico, quando a festeggiare sono i tifosi di una squadra su cui nessuno alla vigilia avrebbe onestamente scommesso un soldo bucato - neanche loro stessi! - allora quella gioia si sublima nell'estasi pura, in uno stordimento che non è esattamente di questo mondo.
Invidio - Dio solo sa quanto - gli odiati cugini veronesi per i brividi dello scudetto dell'85 (rimarchiamolo per dovere di cronaca: l'unico campionato con il sorteggio integrale degli arbitri...). Li invidio a morte, perché solo loro sanno quanto, e per quanto tempo, hanno goduto come ricci in ogni cellula del loro corpo.
Nel mio piccolo, io posso dire che non ho dormito la notte del 29 maggio 1997. Sono tornato a notte fonda da Piazza dei Signori, il cuore di Vicenza, dov'ero rimasto a cantare, saltare, brindare, godere con mio papà, mio fratello, i miei amici e migliaia di tifosi in un'orgia collettiva meravigliosa. Stremato, con la gola in fiamme, ma ancora pervaso dall'adrenalina, ho acceso la tv e ho girato qualunque canale per rivedere almeno altre dieci volte le immagini che qualche ora prima allo stadio mi si erano impresse negli occhi e nel cuore.
La coreografia da brividi. Il terremoto sugli spalti. Il gol di Maini, quello di Rossi, quello di Iannuzzi. Il vecchio stadio Menti impazzito.
Avevamo vinto la Coppa Italia. Neanche Gibì Fabbri e Paolo Rossi c'erano riusciti. Il momento più alto in 95 anni di storia biancorossa. Stavo sognando? No, il Vietnam in gola bruciava troppo per essere un'illusione. Avevamo vinto davvero, e io avevo 17 anni e una maglia biancorossa sudata di vino e di gloria addosso. L'avrei raccontato ai miei figli e ai miei nipoti. Più forti del Napoli, più forti del Milan, più forti della Juve, più forti dell'Inter, più forti del Verona. Più forti di tutti.
Impossibile, ma vero.
Tenetevi le vostre Champions e i vostri scudetti "che prima o poi arrivano", non farei mai a cambio.
Il 29 maggio 1997 io c'ero, e ho raggiunto l'estasi inarrivabile e irripetibile del godimento calcistico.


venerdì 24 febbraio 2012

Maglia abbagliante, gol folgorante

Viviamo anni di forzata sobrietà, di generale malcontento per il presente, di magre speranze per il futuro.
Ci aggrappiamo ai miti del nostro passato per ritrovare conforto e certezze. Lo stile delle maglie da calcio non fa eccezione: oggi molte squadre propongono una prima divisa ufficiale che almeno in qualche particolare richiami le maglie storiche, soprattutto degli anni Sessanta e Settanta.
Ma non è sempre stato così.
Negli sgargianti, frivoli e spendaccioni anni Ottanta, c'era un'assoluta voglia di novità: tutto quello che era passato sapeva di vecchio, inadeguato, quasi imbarazzante.
Colori fluorescenti, effetti tridimensionali, materiali sintetici: ecco come doveva essere una maglia da calcio al passo con i tempi. E ce n'era una davvero perfetta, il sogno di tutti noi bambini: la maglia dell'Olanda agli Europei 1988.
Una maglia entrata nella storia - col senno di poi - per la sua bruttezza, ma soprattutto per questo gol segnato da Marco Van Basten nella finale contro l'Unione Sovietica. Un tiro al volo da manuale del calcio, che tutti noi, dopo averlo visto in tv, abbiamo provato ad imitare almeno una volta.
Per avvicinarmi all'inarrivabile modello, qualche mese dopo per il compleanno mi sono addirittura fatto regalare le scarpette da calcio Diadora modello Van Basten: un "must" assoluto per tutti i ragazzini che sognavano di diventare un calciatore e segnare un gol così.
Bellissime. Scintillanti. Al passo con i tempi. Perché il logo, naturalmente, era verniciato di arancione fluorescente...




giovedì 23 febbraio 2012

Non ancora codino, già divino

C'era una volta Novantesimo Minuto.
Con le partite tutte in contemporanea alla domenica pomeriggio, senza alcuna diretta televisiva, quello delle 18.15 con Paolo Valenti su Raiuno era un vero rito collettivo di massa, il momento più atteso da milioni di tifosi di tutta Italia per vedere, finalmente, tutti i gol della giornata.
Il 17 settembre 1989, come tutte le domeniche della mia infanzia e della mia adolescenza, ero a Sossano: un paesino alle pendici dei Colli Berici dove abitavano i miei nonni materni Marino e Giuditta, i miei zii Antonio e Tiziana e mia cugina Giovanna.
Io e lei, sempre insieme. Cinquanta giorni di differenza: io sono nato il 9 ottobre 1979, lei il 30 novembre dello stesso anno. Ritrovarsi, ogni domenica pomeriggio, era una festa. Ore ed ore a giocare in strada con gli altri bambini del quartiere. Lei, ovviamente, costretta ad essere un maschiaccio, unica femmina che giocava a calcio con altri sei o sette bambini.
Alle 18.05, però, si tornava tutti a casa di corsa, almeno per un'oretta: c'era Paolo Valenti, c'erano i gol.
Quella sera, quando rientrammo, lo zio Antonio disse: "Sono curioso di vedere il gol di Baggio. Alla radio hanno detto che è stato un capolavoro". Si commentavano sempre con particolare orgoglio e piacere, le prodezze di Robertobaggio - tuttoattaccato, naturalmente, come l'altro mito, Paolorossi: per forza, era vicentino e aveva giocato nel Vicenza fino a pochi anni prima. Il nostro campione.
Adesso giocava nella Fiorentina, quel giorno impegnata al San Paolo contro il Napoli di Maradona.
L'anno successivo, Robertobaggio si sarebbe imposto sul palcoscenico di Italia '90, sarebbe passato alla Juventus, si sarebbe fatto crescere il codino e avrebbe poi raggiunto gli apici della sua carriera con il Pallone d'Oro, il Mondiale quasi vinto da solo negli Stati Uniti, e poi le parentesi grigie con Milan ed Inter, ma anche le ultime memorabili perle a Bologna e a Brescia.
Sì, ma tutto questo, quella domenica, doveva ancora venire.
La classe, però, quella c'era già tutta. Divino dalla nascita, per grazia ricevuta.

(il gol di Baggio è al minuto 1:20; il filmato è il resoconto delle fasi salienti della partita, con mini-intervista iniziale a Maradona e intervista a Baggio che alla fine commenta il suo stesso gol alla moviola )

mercoledì 22 febbraio 2012

Campioni del Mondo

Sono arrivato troppo tardi per ricordarmi Pablito che fa piangere il Brasile o l'urlo di Tardelli al Bernabeu.
Estate 1982, non avevo ancora tre anni.
All'epoca delle due affermazioni consecutive del 1934 e 1938, invece, ci volevano ancora un paio di generazioni per concepirmi.
Per me, quindi, siamo diventati Campioni del Mondo a Berlino nel 2006. E, certo, ricordo la snervante sequenza di rigori contro la Francia. E, certo, ricordo Civoli che esulta dicendo "Il cielo è azzurro sopra Berlino!" - formula troppo costruita, però, per toccare nell'intimo come i tre "Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!" scanditi da Nando Martellini 24 anni prima.
Ma il "mio" Mondiale del 2006 rimarrà per sempre legato al ricordo della semifinale con la Germania. Una partita di sofferenza, e non solo per gli azzurri in campo: io l'ho vista alla tv nell'appartamentino che a quel tempo occupavo in affitto a Torino, dove lavoravo; per l'occasione mi avevano raggiunto da Vicenza mio papà Giancarlo, mia mamma Marina e mio fratello Alessandro.
Il televisore era molto vecchio, e talvolta iniziava a far ballare l'immagine in alto e in basso. Occorreva assestare qualche scapaccione deciso, insistendo su punti ben definiti, perché l'immagine smettesse di oscillare.
Durante quella partita, ci sono volute diverse sberle, spesso in momenti delicatissimi. Gli improperi dei tre maschi davanti alla tv non sono riferibili.
L'ultimo schiaffone al fianco del televisore, l'ho assestato pochi secondi prima di questo calcio d'angolo.
Non sapevo che, di lì a pochissimo, ci avrei rimesso una corda vocale a furia di gridare...


Il più bello per me

Se devo sceglierne uno solo, allora non ho dubbi. 29 febbraio 2004. Stadio Bentegodi di Verona.
Verona-Vicenza.
La madre di tutte le partite.
Non ho mai visto i biancorossi battere i gialloblu a casa loro.
Ci vuole il 29 febbraio di un anno bisestile perché il miracolo si compia, al termine di un incontro combattutissimo che fa saltare il cuore in gola a tutti i tifosi presenti.
Una girandola di emozioni. Vantaggio biancorosso con Bonanni al 9', pareggio su sfortunata autorete di Tamburini al 39'. Nella ripresa, il Verona ci mette sotto e passa quasi subito: Myrtai porta in vantaggio i gialloblu dopo appena 10', ma al 21' ci pensa Massimone Margiotta con un bolide su punizione a pareggiare i conti.
Potrebbe andar bene così, ma il Dio del calcio la pensa diversamente.
A dieci minuti dalla fine, l'arbitro - in questi casi, a prescindere, cornuto e venduto - fischia un rigore per il Verona. Sul dischetto si presenta Myrtai, la nostra sorte sembra segnata. E invece Avramov lo para.
Si può godere di più?
Sì, si può. Perché meno di due minuti dopo, quando anche un pareggio sembra tanta ma tanta roba, viene scritta la Storia. E la firma è di un Carneade che si è appena alzato dalla panchina: si chiama Gilberto Zanoletti, e a Vicenza metterà insieme in tutto 18 presenze, per lo più di pochi minuti, senza lasciare quasi alcuna traccia.
Rimane però, e brilla come un diamante, questo contropiede concluso con un tocco d'esterno: agli esteti del calcio dirà poco o niente, ma io impazzisco di gioia. Oggi davanti al pc come allora sugli spalti.


(avrei voluto trovare un link video solo per il gol con gli effetti dello stadio o una telecronaca dal vivo, purtroppo ho scovato solo questo video riassunto della partita con musica di sottofondo... il gol di Zanoletti è al minuto 4:20)